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venerdì 20 gennaio 2012

Aspetti politici della piena occupazione (parte seconda)

Seconda ed ultima parte dell'articolo di Michal Kalecki.


Una delle funzioni importanti del fascismo, come messo in evidenza dal sistema nazista, fu quella di rimuovere le obiezioni dei capitalisti al raggiungimento della piena occupazione.
L'avversione alle politiche di spesa pubblica sono superate sotto il fascismo dal fatto che la macchina statale è sotto il diretto controllo di un insieme di grosse industrie di orientamento fascista. La necessità di un mito di "finanza solida" utile a prevenire l'utilizzo di politiche di spesa da parte del governo in caso di una crisi delle aspettative, è rimosso. In una democrazia non si può sapere come sarà governo successivo. Sotto il fascismo un governo successivo non esiste.
L'avversione alle politiche di spesa pubblica, sia agli investimenti pubblici che al sostegno ai consumi, è superata concentrando la spesa pubblica sugli armamenti. Così, la "disciplina industriale" e la "stabilità politica" in un regime di piena occupazione sono mantenute da un "ordine nuovo", che parte dalla soppressione delle unioni sindacali e arriva al campo di concentramento. La pressione economica della disoccupazione è sostituita da una pressione politica.


Il fatto che gli armamenti siano l'ossatura della politica fascista per la piena occupazione ha un'influenza profonda sul suo carattere economico. La produzione bellica su larga scala è strettamente legata ad un espansione delle forze armate ed alla preparazione di piani bellici di conquista. Inoltre induce ad una corsa agli armamenti negli altri paesi. Questo porta ad un cambiamento nel fine ultimo della spesa, dal raggiungimento della piena occupazione alla massimizzazione degli armamenti. Ciò porta ad una situazione di "sovraoccupazione"; non solo scompare la disoccupazione ma si manifesta una acuta carenza di manodopera. Sopraggiungono difficoltà in molte sfere alle quali si può far fronte solamente con la creazione di nuovi controlli. Un'economia di questo tipo è molto simile ad una "economia pianificata" e viene spesso paragonata, con ignoranza, al socialismo. Tuttavia, questo tipo di "pianificazione" si manifesta necessariamente ogniqualvolta l'economia si pone come obiettivo una determinata produzione in un settore particolare, quando diventa una "economia di scopo" di cui la "economia bellica" è un caso speciale. Una "economia bellica" comporta in particolare una riduzione dei consumi rispetto al livello che sarebbe raggiunto in un regime di piena occupazione.
Il sistema fascista inizia dal superamento della disoccupazione, si trasforma poi in una "economia bellica" in carenza di risorse e sfocia inevitabilmente nella guerra.
Quale sarà il risultato pratico dell'opposizione al raggiungimento della piena occupazione tramite politiche pubbliche di spesa in una democrazia capitalista? Cercheremo di rispondere a questa domanda sulle basi dell'analisi delle ragioni che portano a questa opposizione da parte dei leaders industriali su tre piani: (a) l'opposizione all'intervento pubblico basato sul disavanzo di bilancio; (b) l'opposizione contro la direzione che questo intervento prende, sia diretto verso gli investimenti pubblici, che comporterebbero un'intrusione del governo in nuove sfere di attività economica, sia diretto verso il sostegno ai consumi; (c) l'opposizione al mantenimento della piena occupazione e non alla mera prevenzione di crisi lunghe e profonde.
Al momento, dobbiamo riconoscere che lo stadio durante il quale i "leaders industriali" si opponevano a qualsiasi tipo di intervento statale atto ad alleviare una crisi appartiene ormai al passato. Tre fattori hanno contribuito a tutto ciò: (a) la piena occupazione realizzata durante l'attuale guerra; (b) lo sviluppo di una dottrina della piena occupazione; (c) in parte come risultato di questi due fattori lo slogan "mai più disoccupazione" è oggi presente profondamente nella coscienza delle masse. Questa posizione si riflette nei più recenti pronunciamenti dei "capitani d'industria" e dei loro esperti. La necessità che "qualcosa debba essere fatto durante una crisi" è condivisa; ma la lotta continua, in primo luogo, su "cosa deve essere fatto durante una crisi" (ovvero quale deve essere la direzione dell'intervento pubblico) e, in secondo luogo, che "deve essere fatto soltanto durante la crisi" (ovvero solamente per attenuare la crisi piuttosto che per assicurare una piena occupazione permanente).
Nell'attuale discussione di questi problemi emerge ancora una volta la concezione di un intervento contro la crisi per mezzo di un sostegno agli investimenti privati. Questo può essere ottenuto abbassando il tasso di interesse, riducendo le tasse sui redditi o sovvenzionando direttamente gli investimenti privati. Non è una sorpresa che uno schema di questo genere sia allettante per le imprese. L'imprenditore rimane il tramite attraverso il quale l'intervento si realizza. Nel caso non abbia fiducia nella situazione politica non sarà indotto all'investimento. E l'intervento non implica un coinvolgimento del governo nè nel "gestire" l'investimento (pubblico) nè "sprecando risorse" sostenendo i consumi.
Può essere dimostrato, comunque, come lo stimolo agli investimenti privati non sia un metodo adeguato per prevenire la disoccupazione di massa. Ci sono due alternative da considerare:
1. Il tasso di interesse o la tassazione sul reddito (o entrambi) vengono ridotti drasticamente durante la crisi e aumentati durante l'espansione. In questo caso sia la durata che l'ampiezza del ciclo economico vengono ridotte, ma l'occupazione sia nella crisi che nell'espansione può rimanere lontana dal livello di piena occupazione, il tasso di disoccupazione può quindi rimanere elevato nonostante le sue fluttuazioni siano meno marcate.
2. Il tasso di interesse o la tassazione sul reddito vengono ridotti durante la crisi ma non vengono aumentati durante la successiva espansione. In questo caso l'espansione durerà più a lungo ma finirà in una nuova crisi: una riduzione del tasso di interesse o della tassazione sul reddito non eliminano, per certo, le forze che causano le fluttuazioni cicliche in un'economia capitalista. Nella crisi seguente sarà necessario ridurre ulteriormente il tasso di interesse o la tassazione sul reddito, e così via. Quindi in un futuro non remoto il tasso di interesse dovrebbe diventare negativo e la tassazione sui redditi dovrebbe essere rimpiazzata da un sussidio al reddito. Lo stesso nel caso si cercasse di mantenere la piena occupazione stimolando gli investimenti privati: il tasso di interesse e la tassazione sui redditi dovrebbero essere ridotti continuamente.#3
In aggiunta a questa debolezza fondamentale nel contrastare la disoccupazione sostenendo gli investimenti privati, esiste una difficoltà pratica. La reazione degli imprenditori alle misure descritte è incerta. Se la crisi è acuta, essi potrebbero reagire in maniera molto pessimistica e la riduzione del tasso di interesse o della tassazione sui redditi potrebbe non avere alcun effetto sugli investimenti, e di conseguenza sul livello di produzione e di occupazione.
Coloro i quali concordano con le politiche di sostegno agli investimenti privati in caso di crisi frequentemente non confidano esclusivamente in queste misure ma contemplano un loro affiancamento con investimenti pubblici. Al momento sembrerebbe che i "leaders industriali" ed i loro esperti (almeno parte di essi) tendano ad accettare come soluzione di ripiego l'investimento pubblico finanziato dal debito come un mezzo per attenuare le crisi. Appaiono, però, ancora fermamente contrari alla creazione di occupazione mediante il sostegno al consumo ed mantenimento della piena occupazione.
Questa situazione è forse indicativa del futuro regime economico delle democrazie capitaliste. Durante la crisi, sia sotto la pressione delle masse che senza di essa, investimenti pubblici finanziati dal debito saranno accettati per evitare una disoccupazione su larga scala. Ma se vengono effettuati dei tentativi per applicare questo metodo al fine di mantenere un alto livello di occupazione durante la successiva espansione si incontrerà una forte opposizione da parte dei "leaders industriali". Come è già stato notato, una piena occupazione duratura non è a loro gradita. I lavoratori potrebbero "scappare di mano" ed i "capitani d'industria" diventerebbero ansiosi di "dare loro una lezione". Inoltre, l'aumento dei prezzi durante l'espansione è a svantaggio delle piccole e grandi rendite, il che le rende contrarie ad un'espansione.
In questa situazione è probabile che si formi un potente blocco di interessi composto dalle grandi industrie e dalle rendite, i quali probabilmente troveranno più di un economista pronto a dichiarare che la situazione è evidentemente malsana. La pressione di tutte queste forze, ed in particolare delle grandi industrie, di solito molto influenti nei dipartimenti del governo, indurrà probabilmente il governo a ritornare alle politiche ortodosse di riduzione del disavanzo di bilancio. Dovrà intervenire una crisi successiva perchè la spesa pubblica conquisti nuovamente il suo ruolo.
Questo modello di un "ciclo politico-economico" non è interamente congiunturale; qualcosa di molto simile accadde negli USA nel 1937-38. Il collasso dell'espansione della seconda metà del 1937 fu sostanzialmente dovuto alla drastica riduzione del disavanzo di bilancio. D'altro canto, durante l'acuta crisi che ne seguì, il governo tornò prontamente ad una politica di spesa.
Il regime di un "ciclo politico-economico" sarebbe una restaurazione della posizione esistente durante il capitalismo del diciannovesimo secolo. Una piena occupazione sarebbe raggiunta solamente al picco dell'espansione, ma le crisi sarebbero relativamente moderate e di breve durata.
Un progressista dovrebbe sentirsi soddisfatto di un regime di "ciclo politico-economico" come quello descritto precedentemente?  Io penso dovrebbe opporsi su due piani: (a) perchè non assicura una piena occupazione duratura; (b) perchè l'intervento pubblico è legato ad un investimento pubblico e non include un sostegno ai consumi. Quello che le masse chiedono ora non è l'attenuazione delle crisi ma la loro totale abolizione. L'utilizzazione totale delle risorse non dovrebbe avvenire attraverso investimenti pubblici non desiderati soltanto al fine di produrre occupazione. Il programma di spesa pubblica dovrebbe indirizzarsi verso investimenti pubblici solo nella misura in cui questi investimenti siano effettivamente utili. Il resto della spesa pubblica necessaria per mantenere la piena occupazione dovrebbe essere utilizzata per sostenere i consumi (attraverso aiuti alle famiglie, pensioni, riduzione delle tasse indirette, calmieramento dei prezzi dei beni di prima necessità). Gli oppositori di questo tipo di spesa pubblica sostengono che il governo non otterrebbe nulla in cambio di questa spesa. La risposta è che la contropartita di questa spesa sarebbe il miglioramento della qualità della vita delle masse. Non è questo il fine ultimo di tutta l'attività economica?
Il "capitalismo di piena occupazione" dovrà, sicuramente, sviluppare nuove istituzioni politiche e sociali che rifletteranno l'aumento di potere della classe lavoratrice. Se il capitalismo riuscirà ad adattarsi alla piena occupazione dovrà incorporare una riforma fondamentale. Altrimenti, si dimostrerà un sistema antiquato da abbandonare.
Ma forse la lotta per la piena occupazione può portare al fascismo? Forse il capitalismo si adatterà alla piena occupazione in questa maniera? Questo sembra molto improbabile. Il fascismo si diffuse in Germania durante un periodo di disoccupazione tremenda e si mantenne al potere assicurando la piena occupazione mentre la democrazia capitalista aveva fallito. La lotte delle forze progressiste per la piena occupazione è allo stesso tempo un modo per prevenire il ritorno del fascismo.

#3 Una dimostrazione rigorosa di ciò è data nel mio articolo in pubblicazione in Oxford Economic Papers

2 commenti:

  1. la prima parte di questo post nn riesco a leggerla, dopo aver cliccato sopra(una volta) sipresenta il post, dopo di che, da solo, il post ricomincia caricarsi in direzione di altra pagina che però nn carica mai, non esiste, la pagina resta bianca e quindi illegibile.

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  2. a me non da problemi appare regolarmente sia cliccando sul titolo che sul "continua a leggere"
    mi spiace!

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