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domenica 9 dicembre 2012

Maastricht e dintorni

Traduzione dell'articolo di Wynne Godley datato 8 ottobre 1992. Buona lettura!

Maastricht e dintorni (Wynne Godley)

Molte persone in tutta Europa si sono improvvisamente rese conto che non conoscono quasi nulla del Trattato di Maastricht, ma allo stesso tempo avvertono che esso potrebbe fare la differenza nelle loro vite. La loro legittima ansia ha indotto Jacques Delors a rilasciare una dichiarazione secondo la quale l'opinione della gente comune dovrebbe in futuro essere presa maggiormente in considerazione. Avrebbe potuto pensarci prima.

Anche se ho sostenuto il passaggio verso l'integrazione politica in Europa, credo che le proposte di Maastricht, così come sono, presentino gravi carenze, e che la loro discussione pubblica sia stata particolarmente povera. Con un rifiuto danese, un quasi-rifiuto in Francia, e l'esistenza stessa dello SME messa in discussione dai saccheggi da parte dei mercati valutari, è un buon momento per fare il punto.



L'idea centrale alla base del trattato di Maastricht è che i paesi della Comunità Europea debbano muoversi verso l'unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca centrale indipendente. Ma cosa succede al resto della politica economica? Dato che il trattato non propone nuove istituzioni a parte la banca centrale europea, i suoi sostenitori probabilmente ritengono non sia necessario null'altro. Ma ciò potrebbe essere vero soltanto se le economie moderne fossero dei sistemi capaci di autocorreggersi, senza la necessità di una gestione complessiva.


Sono portato a concludere che tale punto di vista - che le economie siano organismi capaci di autoregolamentarsi e non abbiano mai in nessun caso necessità di una gestione complessiva - ha effettivamente determinano il modo in cui è stato sviluppato il trattato di Maastricht. Si tratta di una versione rozza ed estrema della visione che da qualche tempo costituisce la saggezza convenzionale in Europa (anche se non quella degli Stati Uniti o del Giappone), secondo la quale i governi non sono in grado, e quindi non dovrebbe cercare, di raggiungere uno qualsiasi dei tradizionali obiettivi della politica economica, come la crescita o la piena occupazione. Tutto ciò che può legittimamente essere fatto, secondo questa visione, è controllare l'offerta di moneta ed il pareggio di bilancio. E' stato un gruppo in gran parte composto da banchieri (il Comitato Delors) a giungere alla conclusione che una banca centrale indipendente è l'unica istituzione sovranazionale necessaria per gestire un'Europa integrata sovranazionale.

Ma c'è molto di più. Bisogna evidenziare da subito che la creazione di una moneta unica nella CEE porterebbe sicuramente alla fine alla sovranità delle nazioni che la compongono ed al loro margine di azione indipendente sulle questioni principali. Come l'onorevole Tim Congdon ha sostenuto in modo molto convincente, il potere di emettere la propria moneta, tramite la propria banca centrale, è la cosa principale che definisce l'indipendenza nazionale. Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o di una colonia. Le autorità locali e le regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma perdono anche il potere di finanziare il disavanzo attraverso la creazione di denaro, mentre gli altri metodi per ottenere finanziamento sono soggetti alla regolamentazione centrale. Né possono modificare i tassi di interesse. Poiché le autorità locali non sono in possesso di nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, le loro scelte di natura politica si limitano a questioni di enfasi relativamente minori: un po' più istruzione qui, un po' meno infrastrutture lì. Penso che quando Jacques Delors pone l'accento sul principio di 'sussidiarietà', ci sta in realtà semplicemente dicendo che saremo autorizzati a prendere decisioni su un maggior numero di questioni relativamente poco importanti di quanto si possa aver precedentemente supposto. Forse ci permetterà di avere i cetrioli con i riccioli dopotutto. Un affarone!

Permettetemi di esprimere una visione differente. Penso che il governo centrale di uno Stato sovrano debba impegnarsi continuamente nel determinare il livello ottimale complessivo dei servizi pubblici, l'onere fiscale complessivo adeguato, la corretta allocazione della spesa totale tra i diversi settori e la giusta distribuzione della tassazione. Esso deve anche determinare la misura in cui ogni divario tra spesa e imposte debba essere finanziata attraverso la banca centrale e quanto mediante ricorso al credito ed a quali condizioni. Il modo in cui i governi decidono tutti questi (e alcuni altri) problemi, e la qualità della leadership che possono implementare, in interazione con le decisioni degli individui, delle corporazioni e degli operatori stranieri, determiteranno i tassi di interesse, il tasso di cambio, il tasso di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. Tutto ciò influenzerà profondamente la distribuzione del reddito e della ricchezza non solo tra individui ma tra intere regioni, assistendo, si spera, quelle colpite da cambiamenti strutturali.

Quasi nulla di semplice, si può dire circa l'uso di questi strumenti, con tutte le loro interdipendenze, per promuovere il benessere di una nazione e proteggerlo dagli urti di vario genere a cui sarà inevitabilmente sottoposto. Ha solo un significato limitato, per esempio, dire che il bilancio debba sempre essere in pareggio quando un bilancio in pareggio con un livello di spesa e tassazione pari al 40% del PIL avrebbe un impatto completamente diverso (e molto più espansivo) di un bilancio in pareggio al 10%. Per immaginare la complessità e l'importanza delle decisioni macroeconomiche di un governo, ci si dovrebbe chiedere quale sarebbe la risposta adeguata, in termini di politica fiscale, monetaria e di cambio, per un paese in procinto di produrre grandi quantità di petrolio, ad una quadruplicazione del prezzo del petrolio. Sarebbe giusto non fare nulla? E non si dovrebbe mai dimenticare che nei periodi di crisi molto grande, può anche essere appropriato per un governo centrale contrastare lo Spirito Santo di tutte le banche centrali e invocare la 'tassa da inflazione', appropriandosi volutamente delle risorse attraverso la riduzione, per mezzo dell'inflazione, del valore reale della moneta di una nazione. Keynes, dopotutto, propose di pagare la guerra proprio attraverso la tassa dell'inflazione.

Ricordo tutto questo per suggerire, non che la sovranità non deve essere ceduta nella nobile causa dell'integrazione europea, ma che se tutte queste funzioni vengono abbandonate dai singoli governi devono semplicemente essere assunte da qualche altra autorità. La lacuna incredibile nel programma di Maastricht è che, mentre contiene un progetto per l'istituzione ed il modus operandi di una banca centrale indipendente, non esiste un progetto qualunque di un soggetto analogo, in termini comunitari, ad un governo centrale. Eppure ci sarebbe semplicemente bisogno di un sistema di istituzioni che soddisfino tutte quelle funzioni a livello comunitario che sono attualmente esercitate dai governi centrali dei singoli paesi membri.

La contropartita per la rinuncia alla sovranità dovrebbe essere che le nazioni componenti costituiscano una federazione a cui è affidata la loro sovranità. Ed il sistema federale, o governo, comunque lo si voglia chiamare, dovrebbe esercitare tutte quelle funzioni in relazione ai suoi membri e al mondo esterno, che ho brevemente indicato sopra.

Consideriamo due esempi importanti di ciò che un governo federale, responsabile di un bilancio federale, dovrebbe fare.

I paesi europei attraversano al momento una grave recessione. Per come stanno le cose, in considerazione del fatto che anche le economie di Stati Uniti e Giappone vacillano, non è chiaro quando arriverà una ripresa significativa. Le implicazioni politiche di tutto ciò stanno diventando spaventose. Tuttavia, l'interdipendenza delle economie europee è già così grande che nessun singolo paese, con l'eccezione teorica della Germania, si sente in grado di perseguire politiche espansive per conto proprio, perché ogni paese che cerchi questa soluzione isolatamente incontrerebbe presto dei vincoli dovuti alla bilancia dei pagamenti. La situazione attuale richiede ad alta voce una reflazione coordinata, ma non esistono né le istituzioni né un quadro concordato di pensiero che porti a questo risultato ovviamente desiderabile. Si deve francamente riconoscere che se la depressione dovesse davvero peggiorare seriamente, ad esempio, se il tasso di disoccupazione tornasse definitivamente al 20-25% caratteristico degli anni Trenta, i singoli paesi, prima o poi, eserciterebbero il loro diritto sovrano a dichiarare l'intero movimento verso l'integrazione un disastro e tornerebbero ai controlli sui cambi ed al protezionismo, un'economia d'assedio se volete. Ciò equivarrebbe ad un ritorno al periodo tra le due guerre.

Se ci fosse un'unione economica e monetaria, in cui il potere di agire in modo indipendente fosse stato effettivamente abolito, una reflazione 'coordinata' della quale si ha così urgente bisogno ora potrebbe essere indotta solo da un governo federale europeo. Senza una tale istituzione, l'Unione Monetaria Europea avrebbe impedito un'azione efficace da parte dei singoli paesi senza predisporre nulla al suo posto.

Un altro ruolo importante che ogni governo centrale deve svolgere è quello di mettere una rete di sicurezza a garanzia del sostentamento delle regioni che sono in difficoltà per ragioni strutturali, a causa del declino di alcune industrie, per esempio, o a causa di qualche cambiamento economico-demografico negativo. Attualmente questo accade naturalmente, senza che nessuno se ne accorga, perché gli standard comuni dei servizi pubblici (per esempio, la sanità, l'istruzione, le pensioni ed i sussidi di disoccupazione) ed il livello (si spera progressivo) della tassazione valgono entrambi in generale per tutta la popolazione. Di conseguenza, se una regione soffre un insolito grado di declino strutturale, il sistema fiscale genera automaticamente i trasferimenti netti in favore di esso. Estremizzando, una regione che non producesse nulla non morirebbe di fame perché beneficierebbe delle pensioni, indennità di disoccupazione e del reddito dei dipendenti pubblici.

Cosa succede se un intero paese, una potenziale 'regione' in una comunità pienamente integrata, subisce una battuta d'arresto strutturale? Finché si tratta di un Stato sovrano, può svalutare la propria moneta. Può quindi mirare con successo alla piena occupazione a patto che la sua gente accetti il taglio necessario dei redditi reali. Con un'unione economica e monetaria, questa possibilità è ovviamente esclusa, e le conseguenze sono davvero gravi, a meno che esista un bilancio federale che svolga un ruolo redistributivo. Come è stato chiaramente riconosciuto nella relazione MacDougall che è stata pubblicata nel 1977, ci deve essere un quid pro quo per aver rinunciato alla possibilità di una svalutazione, sotto forma di redistribuzione fiscale. Alcuni autori (come Samuel Brittan e Sir Douglas Hague) hanno seriamente suggerito che l'Unione Monetaria Europea, abolendo il problema della bilancia dei pagamenti nella sua forma attuale, avrebbe davvero abolito il problema, dove esistesse, di una persistente incapacità di competere con successo sui mercati mondiali. Ma, come il professor Martin Feldstein ha sottolineato in un importante articolo sull'Economist (13 giugno), questo argomento è pericolosamente sbagliato. Se un paese o una regione non ha il potere di svalutare, e se non è il beneficiario di un sistema di perequazione fiscale, allora non c'è nulla che possa fermarlo da un processo di declino cumulativo e terminale che conduce, alla fine, all'emigrazione come unica alternativa alla povertà o fame. Sono solidale con la posizione di coloro (come Margaret Thatcher) che, di fronte alla perdita della sovranità, desiderino scendere del tutto dal treno dell'Unione Monetaria. Apprezzo anche la posizione di coloro che cercano l'integrazione sotto la giurisdizione di una sorta di Costituzione federale con un bilancio federale molto più grande di quello dell'attuale bilancio comunitario. Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di coloro che sono propensi ad un'unione economica e monetaria senza la creazione di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale), e che inorridiscono alle parole 'federale' o 'federalismo '. Questa è la posizione adottata oggi dal Governo e dalla maggior parte di coloro che prendono parte alla discussione pubblica.

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